Quella del taglio del bosco di Premaor è una storia lunga e fitta di eventi. Tralascerò necessariamente vari fatti, ma ritengo opportuno soffermarmi con alcune riflessioni di tanto in tanto per comunicarvi il profondo significato esistenziale, sociale e civile che ha avuto per noi questa vicenda, che ci ha cambiato la vita.



Siamo quattro famiglie di Premaor, un piccolo paese delle colline del Conegliano-Valdobbiadene Docg, nella core zone dell’area Patrimonio dell’Umanità Unesco.

Per me e per i miei vicini (4 famiglie, 17 persone, 9 minorenni) tutto ha inizio lunedì 22 luglio 2019 alle ore 8.00: all’improvviso. Quella mattina veniamo svegliati dalle motoseghe: comincia il taglio del bosco dietro le nostre case, un bosco di più 30 anni, in pieno centro paese, su una collina in forte pendenza (dal 30 al 60%), per sostituirlo un vigneto che dovrebbe distare circa 10 metri dalle finestre delle camere da letto dei bambini e circa 5 metri dai nostri giardini. Data la minima distanza, unita alla grande pendenza della collina, pare subito chiaro a tutti che le siepi di separazione tra le nostre abitazioni e il vigneto, necessarie per mitigare le derive di pesticidi, sarebbero inutili: dovrebbero essere fittissime e altissime. I proprietari poi sembrano neppure pensarci alle siepi: è spazio sottratto alla vigna, ombra per i filari, infatti non sono previste dai progetti. 
Tutto è stato progettato come se noi non esistessimo.

Da qui parte per noi una vera e propria odissea che inizia con la Pubblica Amministrazione. Un’odissea fatta di mancanza di collaborazione e di ostruzionismo a più livelli: difficoltà ad avere l’accesso agli atti, atti ricevuti per tre volte incompleti e richiesti altrettante volte, telefonate a vari enti che non servono a nulla, PEC (svariate PEC) senza risposta, segnalazioni di irregolarità senza riscontri, richieste a Carabinieri Forestali, al Genio Civile, ecc. per sopralluoghi che non sappiamo se siano avvenuti mai... eccetera.

A questa si aggiunge una seconda odissea, legata al mondo dei professionisti. Non è stato facile per noi trovare un avvocato amministrativista della provincia di Treviso disposto a seguirci: molti lavorano per i Comuni dell’area del Prosecco Docg o per il Consorzio Docg e quindi si dichiarano incompatibili. Ne contattiamo 7, per trovarne alla fine solo uno disposto a seguirci.
Peggio ancora va con i periti che devono preparare le loro relazioni a sostegno del nostro ricorso al TAR (geologo, agronomo, dottore forestale, architetto paesaggista, ecc.): lavorano già per Consorzio o Comuni, quindi si dichiarano incompatibili o non sono interessati a lavorare per dei privati cittadini o portano scuse di volta in volta differenti. 
Dopo più di un mese di ricerca, per esempio, ci è stato impossibile trovare un dottore forestale disposto a fare una controperizia. Abbiamo contattato professionisti del settore e perfino un responsabile di un ordine professionale per chiedere aiuto nella ricerca. Ma questa persona ci ha detto che, dopo aver telefonato per giorni, non era stata in grado di trovare tra i suoi contatti un dottore forestale in provincia di Treviso disposto a collaborare al nostro caso, probabilmente perché avrebbe comportato mettersi contro la Regione. Alla fine abbiamo trovato il dottore forestale a Pordenone; salvo ritirarsi pure lui il giorno precedente al sopralluogo.

Con questo sistema ci siamo scontrati: un sistema fatto di convergenze di interessi di portata enorme, a più livelli, che coinvolge operatori del settore, professionisti, enti locali, organi di controllo e di fronte al quale il cittadino si trova disarmato. Il confronto è impari. Ne siamo usciti schiacciati.
 
Provo disgusto per quello che sono diventati i miei luoghi. Mi duole dirlo, perché questa è la mia terra da 45 anni, qui sono nato, è stata la terra di mio padre, dei miei nonni e dei miei bisnonni: l’impressione, oggi, è che noi residenti siamo diventati un intralcio, sarebbe meglio se non ci fossimo, se ce ne andassimo, se non esistessimo. Via dalla nostra terra, per lasciar posto a chi deve farci i soldi.

La proprietaria del fondo incriminato ce lo aveva detto esplicitamente subito. Era venerdì mattina 25 luglio, quando il mio vicino si è recato dove stavano disboscando per parlare con i proprietari, convinto che il dialogo fosse la soluzione migliore. La proprietaria, forse provocatoriamente, gli ha chiesto cosa pensasse dei lavori e lui con massima sincerità ha risposto: “Beh, non sono proprio contento”. A queste parole lei ha replicato: “Se non siete contenti, potete vendere la casa”. Ecco, proprio questo, penso a volte, è il messaggio che non può essere detto in pubblico o sui tavoli ufficiali, ma che si nasconde dietro tanti atteggiamenti ostili o indifferenti o supponenti, di volta in volta, di autorità o di operatori del settore,  dietro alle provocazioni, alle prepotenze, alle omissioni, ai silenzi: prima devono venire gli affari e dopo le persone.

Abbiamo organizzato, come molti di voi sanno, lungo il pendio disboscato il giorno 1 agosto 2019 un manifestazione, sostenuti dal Comitato Marcia Stop Pesticidi, che ha radunato quasi 500 persone per smuovere le autorità, ottenendo l’attenzione della stampa, la prima pagina de La Tribuna di Treviso, 36 articoli pubblicati sul nostro caso in 3 mesi dai giornali locali, ma nessuna risposta dalle autorità: come se il problema e noi non esistessimo. Nessun dialogo con noi, noi non contiamo.

Abbiamo fondato un gruppo Stop Pesticidi a Miane con 30 iscritti per sensibilizzare la cittadinanza e le autorità, abbiamo scritto al Sindaco e alla Giunta Comunale come gruppo facendo delle richieste e rendendoci disponibili al dialogo. Ma niente, nessuna risposta.

A ottobre 2019 il vigneto è stato piantato e la “nostra” collina naturale è diventata una moderna collina sbancata, terrazzata, percorribile da trattori e cosparsa di tombini: un paesaggio industriale nascosto tra i filari.

Nel novembre del 2019 è franata una porzione del versante nord del vigneto, provocando la caduta di alberi e materiale vario sul parcheggio della vicina trattoria, per fortuna sgombro di auto. A seguito dell’evento abbiamo presentato richiesta di sospensiva urgente al TAR per il pericolo derivante dall’instabilità del versante. Richiesta respinta.

Il 3 febbraio 2020 siamo stati finalmente ricevuti (dopo 6 mesi) dall’On. Colmellere e dal Sindaco di Miane presso il Municipio. Nell’incontro il Sindaco ci ha garantito che l’irrorazione del nuovo vigneto sarebbe stata fatta “a mano”, quantomeno nella fascia di rispetto di 20-30 metri dal confine con la nostra proprietà, come, a suo dire, stabilito dal Regolamento di Polizia Rurale Comunale. Peccato che dopo attento studio del Regolamento, non abbiamo trovato in esso nessuna disposizione coercitiva che prescriva l'irrorazione esclusivamente a mano dei vigneti nei pressi delle abitazioni (aree sensibili) nella fascia di rispetto stabilita; il Sindaco, da parte sua, invitato da noi più volte anche via PEC a mettere per iscritto quanto promessoci a voce, si è guardato bene dal farlo, evitando di rispondere personalmente da quel giorno alle nostre lettere.

La scorsa primavera e la scorsa estate, accanto alle nostre case, sono iniziate le irrorazioni con pesticidi di alcune barbatelle e di un altro vigneto degli stessi proprietari, trattamenti per i quali è stato utilizzato anche il nebulizzatore con testata a cannone; si tratta di un macchinario che produce un getto di pesticidi che arriva a distanza di decine di metri, in modo da raggiungere più filari, producendo anche una abbondante deriva, specie in presenza di vento. Le irrorazioni, inoltre, sono avvenute sempre senza preavviso e senza l'esposizione dei cartelli obbligatori per legge che segnalano il trattamento, le sostanze utilizzate e i tempi di rientro. Abbiamo fatto più esposti al Comune a riguardo, anche con l’aiuto dello Sportello SOS Territorio del Comitato Marcia, senza ottenere nulla.

Il 7 dicembre 2020 il TAR si è espresso sulla nostra richiesta di annullamento dell’opera. La sentenza è stata a nostro sfavore. Più che una sconfitta è stata una disfatta. Dobbiamo risarcire 2440 euro a Comune, Regione e proprietari del vigneto (totale 7320), più eventuali altre spese processuali (di cui attualmente non abbiamo contezza), più il nostro avvocato da finire di pagare (spesa questa già preventivata). Alla fine di questa storia ogni famiglia avrà speso circa 10.000 euro. Insomma ci hanno bastonato.

Ho letto attentamente la sentenza e mi ha colpito che le conclusioni (TUTTE a nostro sfavore) sono totalmente unilaterali: non un punto, non una virgola, nulla di quello che abbiamo eccepito è stato considerato valido. La delusione e l’amarezza sono enormi. 
In preda a questo stato d’animo mi sono chiesto se per caso avessimo sbagliato tutto noi, fin dal principio, e se i nostri avvocati non ci avessero capito nulla di questa causa. Sembra infatti alla luce della sentenza che questo studio legale storico, che ha vinto anche cause importanti, abbia preso un grande abbaglio e prodotto una serie di considerazioni inconsistenti, che la sentenza ha svelato. Sembra che per ogni nostra richiesta esistesse un articolo di legge che la contraddice, articolo che gli avvocati non conoscevano o che hanno trascurato di considerare! 
Ma può essere che questi avvocati competenti ed esperti di cui ho apprezzato la professionalità, abbiano sbagliato tutto, proprio tutto? Impossibile.
Anche perché assieme a loro avrebbero sbagliato tutto pure le persone che disinteressatamente ci hanno dato una mano: un esperto di urbanistica di un ufficio tecnico di un comune, altri tecnici di altri comuni e professionisti amici. Tutti uomini ciechi e farneticanti idiozie? Non è possibile; eppure la sentenza pare dire così.

Sulla base della mia esperienza di studi e di vita, so che la realtà non è mai monocolore: è sempre un intreccio complesso di sfumature. Una sentenza che dipinge la realtà di un unico colore non riconosce la complessità del reale.

Alla luce di tutto ciò il verdetto mi sembra profondamente parziale e ingiusto. Con tanto di bastonate economiche finali.
Tutto nasce dal bosco e da una relazione della forestale che lo ha valutato senza valore, una neoformazione di piante infestanti di nessun pregio, e che ha aperto le porte al taglio. Per le autorità quel bosco era una presenza “infestante”, un danno per il paesaggio; per noi era vita, una comunità di vita della quale eravamo divenuti parte noi stessi.

Se ancora posso pensare liberamente in questo Veneto che sento sempre più affarista e prepotente, ritengo che nessun giudice e nessuna legge umana potrà mai convincermi che sia tagliando i boschi che assicuriamo un futuro al pianeta, che sia tagliando i boschi in centro ai paesi che educhiamo le nuove generazioni al rispetto della natura, che tagliando i boschi nei paesi ci prendiamo cura del benessere dei residenti e tuteliamo gli ecosistemi e la biodiversità. Sappiamo tutti perché vengono tagliati i boschi.

Un caro saluto e grazie per il sostegno che vorrete darci.


Fabio Magro